Abbiamo incontrato uno squisito gentiluomo d’altri tempi che ha un annuncio importante da fare: ha deciso di destinare a Fondazione Sacra Famiglia la metà dei suoi beni, volontà scritta in un testamento già depositato, che vede come altro beneficiario (al 50%) la Fondazione don Gnocchi. Un regalo prezioso che deriva da una vita di lavoro e impegno.

Dopo il diploma di geometra e la laurea in Economia e Commercio alla Cattolica nel 1955, Affri trova subito un’occupazione presso una ditta di costruzioni, per poi essere assunto, dopo qualche tempo, come «impiegatello» alla Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, la storica Cariplo oggi Banca Intesa. E con il merito, la fatica: per lunghissimi anni inizia la giornata alle 6.15 – un’abitudine che non ha perso neppure oggi, che si è «ritirato volontariamente, per senso della misura» – e la conclude ben oltre le 23: dopo le nove ore trascorse in banca, infatti, si trasferisce nel suo studio da commercialista e lì rimane fino a tarda sera, sacrificando al lavoro anche i sabati e le domeniche. Pochissimi svaghi, tanta lettura, serate tranquille, una condotta di vita tanto esemplare quanto parca, perché – come scandisce oggi – «il lavoro non è una condanna di Dio, ma un regalo».

Silenzioso ma tenace, modesto ma infaticabile, Affri scala tutti i gradini della carriera in Cariplo, di filiale in filiale, fino ad approdare alla Ca’ de Sass (la sede centrale di via Monte di Pietà) dove, come Mortgage Credit Manager, aveva il compito di decidere se qualcuno, privato o azienda, meritava fiducia e finanziamenti. E per farlo, aveva un metodo infallibile: «Tutti quelli che venivano a chiedere un prestito», racconta, «mi parlavano di problemi e necessità, vicende personali e progetti. Io stavo ad ascoltare, poi chiedevo: caro signore, la banca vende soldi, non li regala. Lei pensa di essere in condizioni di ripagare il debito? Se la risposta non arrivava subito, lo invitavo a bere un caffè. Scendevamo al bar, ci mettevamo comodi, le barriere cadevano e da lì capivo tante cose. Molto meglio che alla scrivania. Bevevo anche sette o otto caffè al giorno sa?».

Nel caso di Sacra Famiglia, per instaurare un rapporto di fiducia non è stato necessario andare al bar: al dottor Affri è bastato conoscere l’ex presidente monsignor Enrico Colombo e visitare, un giorno, l’Unità Santa Maria Bambina per rimanere conquistato dall’autentico «spirito evangelico di carità» della Fondazione e dei suoi operatori. Nonché della serietà dell’ente: «Nel testamento non ho voluto inserire nessun vincolo d’utilizzo dei miei beni, compresi i tre appartamenti che ho acquistato negli anni», continua il nostro benefattore. «Ho piena fiducia che Sacra Famiglia, come la Fondazione don Gnocchi, faranno quello che è giusto a favore dei meno fortunati».

Il dottor Affri ha già cominciato, e da molti anni, a sostenere l’attività della nostra Fondazione con una generosa offerta annuale, e segue puntualmente le vicende che la riguardano, mantenendo cordiali rapporti con l’ex direttore generale Vittorio Coralini e l’Associazione Amici oltre che con il presidente don Marco Bove, che risiede proprio nella sua parrocchia, la Basilica di San Vincenzo in Prato. «Ormai questo mondo è diventato per me indecifrabile, sono troppe le cose che non capisco più. I robot al posto dei lavoratori, i manager di Banca che fanno vita mondana, la tanta maleducazione che c’è in giro… Ci sono però cose che capisco e approvo: l’aiuto che si dà al prossimo, come quello che offre Sacra Famiglia, e la riconoscenza. La riconoscenza è la più importante».