Paralizzato dopo un grave aneurisma, Sebastiano capiva ma non riusciva a esprimersi. Fino a un bel pomeriggio di agosto, quando all’improvviso ritrova la parola. «La lesione non si è ridotta, i medici non se lo spiegano». E c’è chi parla di miracolo.
«Prego». Una parola semplice può scatenare un putiferio di urla, lacrime di gioia, corse nei corridoi, braccia alzate e frenetiche telefonate? Certo che può, se quella parola è pronunciata con voce chiara da una persona che per due anni, dopo un aneurisma cerebrale, era stato incapace di emettere alcun suono. Non solo: da una persona che tecnicamente, scientificamente, aveva (e ha) una lesione cerebrale talmente grave da essere incompatibile con il linguaggio.
Eppure è successo, eccome, il 7 agosto 2023 a Cocquio Trevisago (VA). Il protagonista di questo “miracolo” (non è un’esagerazione) è Sebastiano, 58 anni, ex carpentiere ed ex motociclista, colpito da un aneurisma dell’arteria comunicante anteriore dell’encefalo il 6 agosto 2021.
Arrivato in Sacra Famiglia a un anno dall’incidente, nel 2022, appare subito compromesso nel fisico ma “presente” a livello cognitivo: le logopediste Chiara Aldera e Sofia Martucci notano infatti che Sebastiano comprende tutto quello che gli viene detto. E dato che muove, seppur parzialmente, la mano sinistra, comunica con un joystick con cui evidenzia lettere e simboli su uno schermo. Ma nonostante i ripetuti tentativi, non produce suoni intellegibili; al massimo qualche mugolio e un “ao” interpretato come “ciao”.
Nulla, insomma, fino a quel fatidico 7 agosto. «Me lo ricordo come fosse ora», racconta la coordinatrice Cristina Brambilla. «Ero nel mio studio, suona il telefono e sento dall’altra parte qualcuno che urla “parla! parla! Sebastiano parla!”. Mi sono precipitata da lui in tempo per sentirlo scandire i nomi di tutti noi. Nel suo silenzio, ci aveva conosciuto uno per uno, e ci stava ringraziando». Da lì, la gioia si propaga con una videochiamata alle figlie Eleonora e Federica, al gemello Giovanni e alla sorella, Suor Marianna.
Il fatto è inspiegabile anche per i medici dell’Ospedale di Varese che, dopo una TAC, hanno certificato che la lesione all’encefalo non si è ridotta e a tutt’oggi il recupero, nel giro di un’ora, rimane un mistero, anche se questo «non sminuisce l’importanza del lavoro di tutti i professionisti, e conferma la possibilità di recupero anche degli ospiti più compromessi», come sottolinea Cristina Brambilla.
Lui, il “miracolato di Cocquio”, come già lo chiamano tutti, sorride con la bocca e con gli occhi, e quando gli si chiede come sta risponde «sono felice, anzi: felicissimo». Circondato dall’affetto dei familiari, che vanno a trovarlo ogni settimana e lo portano spesso fuori (siamo a due passi dal lago di Varese), Sebastiano ha un sogno: tornare a casa. «Non è mica facile, ma ci spero». Attorno a lui, tutti i membri dell’équipe annuiscono. «Fatto trenta, faremo trentuno», dice qualcuno. E Sebastiano sorride: «Bene, anzi: benissimo».