La storia di Eliassa: Tutto è cominciato con un sì
Eliassa era perplesso: quella educatrice, incontrata in Sacra Famiglia, era diversa. Lui faceva di tutto per ignorarla e metterla alla prova, ma lei non mollava. Comincia così, per questo ragazzo fuggito dall’Africa, un percorso nuovo che l’ha portato a lavorare, studiare e pubblicare un libro di poesie. E a sognare sempre in grande.
Faccio la faccia da africano?» Scherzava Eliassa mentre si metteva in posa per le bellissime foto di queste pagine. «E perché, com’è la faccia da africano?» Eccola: pugni serrati, sguardo truce, atteggiamento chiuso, in difesa. Eliassa è arrivato così in Italia, sei anni fa, come tanti, a bordo di un barcone. Con la faccia da africano e una buona dose di coraggio, a soli 19 anni fuggiva dal suo Burkina Faso (i motivi non vuole dirli, ma ci devono essere, per avergli “meritato” un permesso per motivi umanitari). Oggi questo ragazzo sorridente dalle treccine che gli cascano continuamente sulla fronte parla un perfetto Italiano, lavora di giorno e studia di sera, sogna la laurea e una casa tutta sua. Ma non è stato per niente semplice arrivare fin qui: «Eliassa è speciale», chiarisce subito Chiara Colombo, 53 anni, educatrice del Centro per richiedenti asilo Il Sestante di Sacra Famiglia, in cui oggi sono accolti 15 migranti.
TUTTO È COMINCIATO CON UN SÌ.
Appena ottenuta la protezione umanitaria arriva in Sacra Famiglia al Centro per richiedenti asilo il Sestante. «Sono sceso dalla macchina e ricordo di aver visto Chiara sulle scale che mi aspettava, con gli altri operatori», racconta. «Mi hanno portato dentro e mi hanno mostrato la mia stanza… erano gentili, ma io non sapevo ancora se questa volta potevo fidarmi, ero chiuso, insofferente». Chiara annuisce. Anche lei si ricorda quel periodo e tutti i “test” che faceva Eliassa: «Sono fatto così», conferma lui. Inizia così una specie di “tira e molla” tra Chiara e quel nuovo arrivato in cui lei, lo intuisce, probabilmente c’è molto di più di quanto non dia a vedere. Sono tante le richieste che Eliassa si sente rivolgere, ma all’inizio non lo accetta. «Continuava a darmi ordini», dice guardando Chiara con gli occhi che ridono, «mi davano fastidio, così li ignoravo. Poi mi sono chiesto: perché anche se io non le do retta, lei non si arrabbia? Questo mi ha colpito. Non mi trattava male, non minacciava di buttarmi fuori. Strano, in tutti gli altri posti era: “Se non fai quello che ti dico, te ne vai”. Chiara no, era diversa…. Continuavo a chiedermi: perché non si stanca mai di me?». Finalmente, quel ragazzino con la “faccia da africano” montata per difesa, è messo di fronte a una logica diversa da quella gerarchica, a una relazione gratuita, a qualcuno disposto ad aspettarlo e a investire su di lui. Stavo quasi per mollare, dice Chiara … quando, all’improvviso, mi ha detto il primo sì». A inizio 2019 Eliassa accetta infatti di intraprendere il Servizio Civile proprio in Sacra Famiglia, diventando volontario in una Unità con pazienti psichiatrici e disturbi del comportamento. «Non era esattamente quello che sognavo», confessa con sincerità e il suo solito, disarmante sorriso. «Io volevo essere pagato bene e fare un lavoro “vero”, ma visto che Chiara mi sfidava a dare il meglio di me ho risposto va bene, questa volta non ti dico di no». E meno male. Il contatto con gli ospiti, la routine fatta di presenza in reparto e rapporti con gli operatori, la delicatezza del compito arricchiscono Eliassa e gli regalano, oltre a tante soft skills («ero impaziente, ho imparato la pazienza»), una buona dose di fiducia in se stesso e un suggerimento per il proprio futuro lavorativo. Dopo quell’esperienza, infatti, riesce a inserirsi come operatore notturno in una comunità per minori stranieri non accompagnati. L’ambiente gli piace, la cooperativa che gestisce il Centro lo fa crescere.