di Fausto Ruggeri

La ricerca documentaria legata alla Causa di beatificazione di Monsignor Domenico Pogliani continua a produrre interessanti sorprese. Il responsabile dell’Archivio di Sacra Famiglia Luigi Paparella ha infatti rintracciato un opuscolo del 1912, che contiene uno scritto del Fondatore di cui si era persa traccia. Si tratta della riedizione ampliata di una precedente pubblicazione del 1910 e destinata a presentare l’allora “Ospizio”. L’edizione ricuperata, più ampia (47 pagine) e ricca di illustrazioni degli ospiti e delle strutture dell’allora Istituto, riporta anche un articolo del dottor Giovanni Fabio sui criteri di assistenza sanitaria, già all’avanguardia per l’epoca. Soprattutto interessante è però lo scritto di Pogliani, intitolato “Assistenza religiosa”, che rivela lo spirito con il quale Sacra Famiglia apriva le sue porte agli incurabili della campagna: quello della carità cristiana che non si limita a lenire i mali fisici, ma cura anche «i mali morali e le piaghe dell’animo». Con fervore sacerdotale, il Fondatore traccia la storia edilizia della chiesa dell’Ospizio, che sin dall’inizio volle come centro della vita spirituale dell’Opera: dalla prima cappellina si passò a una sala più vasta per arrivare, dopo quattro anni, a un altro spazio ancora: «Sebbene però queste chiesuole successive si procurasse tenerle in modo decoroso (…)», scrive Pogliani, «erano precarie e si sentiva il bisogno di avere un edifizio che fosse sacrato stabilmente a rappresentare, e in modo condegno, il tempio santo, la domus Dei, la casa del Signore. E il buon Dio provvide a questo bisogno» grazie al cospicuo lascito del ragionier Alessandro Brioschi, con il quale si poté realizzare un «tempio che dovesse essere tale stabilmente», che è quello tuttora in funzione e che ospita la tomba del Fondatore.

In questa chiesa egli mise tutto il suo cuore. Infatti, rispondendo a una obiezione («Perché tanta spesa mentre è chiesa solo d’uso interno?»), si produce in una duplice, appassionata risposta: Per «convenienza religiosa», visto che «l’uomo è fatto anche di sensi, e la bellezza e l’armonia della chiesa gli manifestano sensibilmente la maestà di Dio», e per «gratitudine doverosa verso il buon Dio», che ha provveduto i mezzi materiali; mezzi cui anche il Servo di Dio aveva contribuito, sacrificando tutti i suoi risparmi. Nel suo monito finale, Pogliani cita un aneddoto tratto dalla storia di Alessandro Magno, che sin da fanciullo non mostrò avarizia verso i suoi dei, e conclude «che colla divinità non si deve essere avari».