Lesioni da pressione

Un tempo si chiamavano «piaghe da decubito», oggi si preferisce la più corretta dizione «lesioni da pressione», ma la sostanza non cambia: parliamo dei danni localizzati alla cute o ai tessuti (nei casi più gravi) in corrispondenza di prominenze ossee di pazienti allettati o immobilizzati. Un problema grave e doloroso, che reca un danno significativo a chi lo subisce.

Il National Pressure Ulcer Advisory Panel (NPUAP) nel 2010 ha infatti stabilito che le lesioni da pressione «inevitabili» possono svilupparsi nei pazienti emodinamicamente instabili, malati terminali, portatori di dispositivi medici, non complianti alla nutrizione artificiale e ai riposizionamenti; ciononostante – ha ribadito – la prevenzione deve essere comunque garantita. I numeri parlano chiaro: Sacra Famiglia mantiene percentuali molto basse di incidenza di lesioni da pressione (con molte Unità in cui il problema non esiste) rispetto alla media delle strutture per anziani lombarde (dati Osservatorio settoriale sulle RSA 2016): 4,3% di incidenza sul totale dei posti letto residenziali, contro il 16%. Un importante risultato ottenuto con validi metodi di prevenzione che ci racconta la dott.ssa Roberta Di Gennaro.

Cause locali e generali

Le cause che determinano la comparsa di lesioni possono essere locali o generali. La più ovvia, nonché quella scatenante, è rappresentata dalla riduzione del numero di riposizionamenti che il paziente effettua autonomamente o che vengono praticati; altre cause contingenti possono essere la presenza di corpi estranei a contatto con la pelle (tubi di un drenaggio o di un catetere, materiali, briciole), la macerazione della cute dovuta a incontinenza, sudorazione o scarsa asciugatura. Si annoverano invece fra le cause generali fattori quali la malnutrizione (l’80% dei pazienti con lesioni è anche malnutrito) e in genere i disordini nutrizionali connessi sia alla dieta che all’idratazione, l’anemia e l’iposideremia.

La nutrizione

Per meglio indirizzare gli interventi di prevenzione, è fondamentale l’individuazione dei soggetti a rischio, cioè coloro che, per la presenza di fattori locali e/o sistemici hanno più probabilità di sviluppare un’ulcera da pressione rispetto ad altri pazienti: persone che hanno sviluppato in passato un’ulcera da pressione, e tutti coloro la cui mobilità è ridotta o assente, anche senza la presenza di altri fattori. Sempre per individuare i soggetti a rischio è importante procedere a una valutazione dello stato nutrizionale: esiste infatti una forte relazione tra stato nutrizionale, stato di idratazione e sviluppo di lesioni da pressione, visto che la nutrizione contribuisce al mantenimento dell’integrità dei tessuti. Devono quindi essere presi in considerazione parametri di laboratorio utili a identificare lo stato nutrizionale e l’impatto degli interventi (proteine, albumina, transferrina e pre-albumina). Anche uno stato di malnutrizione in eccesso (obesità), è un fattore predisponente, sia per un aggravio delle pressioni che per un aumento della macerazione e dell’umidità tissutale. Gli interventi nutrizionali da mettere in atto, tenuto conto del fabbisogno calorico-proteico di questi soggetti (in molti casi aumentato, in quanto le lesioni da pressione hanno un effetto catabolizzante) includono: un’alimentazione naturale e gradevole, eventualmente modificata nella consistenza; un vitto “fortificato”, ad alta densità energetica; integratori calorico-proteici; nutraceutici (arginina, glutamina, hmb, zinco); nutrizione enterale.

Cura della cute integra

L’ispezione della cute fornisce le informazioni essenziali per la pianificazione di interventi utili a ridurre il rischio di lesioni da pressione. La cute esposta al contatto dei liquidi biologici (urine, feci, sudore o secrezioni della ferita) è maggiormente sensibile all’insorgenza di lesioni, visto che determina un aumento del grado di umidità, oltre alla presenza di sostanze irritanti che alterano lo strato corneo. È necessario quindi ispezionare quotidianamente la cute del paziente con particolare attenzione alle prominenze ossee; mantenere un stato di igiene ottimale, detergendo la cute appena si sporca e a intervalli regolari con acqua non eccessivamente calda e detergenti non irritanti, a ph debolmente acido, riducendo al minimo la forza e la frizione applicate e asciugando per tamponamento; applicare creme ad azione idratante e nutriente fino a completo assorbimento; ridurre l’umidità e la macerazione della cute; utilizzare un valido programma di presidi assorbenti, di idratazione e protezione con creme barriera; gestire le superfici di appoggio e supporto, controllando che non ci siano pieghe o corpi estranei nelle lenzuola.

Mobilizzazione programmata

In condizioni fisiologiche normali, una prolungata pressione locale provoca disagio e innesca automaticamente il cambio di postura; questo non accade però in molti pazienti a rischio, impossibilitati a compiere movimenti autonomi. Deve essere perciò attuata la mobilizzazione passiva sostitutiva da parte del personale. Quando la variazione di postura è limitata nella frequenza e nelle posizioni possibili (paziente terminale, con postura obbligata), si possono utilizzare medicazioni locali per proteggere la cute (film di poliuretano, vaselina filante, placche di idrocolloidi sottili, creme).

Superfici di supporto

Fondamentale è infine l’utilizzo di superfici di supporto (dispositivi specializzati per la ridistribuzione della pressione), progettati per la gestione dei carichi sul tessuto, del microclima e/o altre funzioni terapeutiche, come il materasso, il sovramaterasso, il sistema di letto integrato, un cuscino o cuscino integrato nel sistema di seduta. I vari modelli garantiscono gradi di prevenzione diversi e vanno utilizzati in base alla gravità dei fattori di rischio, ma non possono essere sostitutivi degli interventi di mobilizzazione e riposizionamento della persona, che resta insostituibile e sicuro presidio contro la comparsa di lesioni da pressione.

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