News

Via al cantiere per la nuova “casa” di Cocquio Trevisago

La nuova casa di Cocquio sta prendendo forma. Sono iniziati a novembre, infatti, importanti lavori di ristrutturazione che porteranno a una trasformazione profonda della struttura. Grazie al bonus 110%, l’edificio Monsignor Rampi sarà reso non solo più moderno e sostenibile dal punto di vista energetico, ma diventerà anche un ambiente più accogliente e funzionale per chi lo vive.

L’intervento coinvolgerà tutti e tre i piani: nel seminterrato saranno ricavati nuovi ambulatori, più ampi e organizzati; il piano rialzato e il primo piano, invece, saranno interamente dedicati alla residenzialità per persone con disabilità. Complessivamente, la nuova struttura offrirà 60 posti letto, distribuiti in camere singole: 40 al piano rialzato e 20 al primo piano.

Un nuovo concetto di accoglienza
La scelta delle camere singole rappresenta una vera innovazione per questo tipo di residenze in Lombardia. “Vogliamo che ogni ospite abbia uno spazio personale che lo faccia sentire a proprio agio, un luogo che diventi davvero la nuova casa di Cocquio” spiega la direttrice, Laura Puddu. Questa attenzione all’individualità e al benessere è il cuore del progetto: non più camerate da otto letti e lunghi corridoi, ma ambienti pensati per rispondere alle esigenze di ciascuno.

Anche gli spazi comuni saranno ripensati per favorire socializzazione e comfort, distinguendo nettamente le aree giorno dalle zone notte. “Arredi e colori saranno studiati con cura”, aggiunge Puddu, “mobili senza spigoli “vivi”, tonalità rilassanti e materiali adeguati contribuiranno a creare un ambiente sicuro, capace di rispondere alle esigenze di chi ha disturbi del comportamento, come tanti nostri ospiti. Pensiamo a loro, e ci stiamo sforzando di mettere in atto tutte le misure per ridurne i possibili disagi. A questo proposito”, sottolinea, “desidero ringraziare anche tutto il personale per la grande generosità e collaborazione che sta dimostrando in questo momento così particolare”.

Il bar interno gestito dagli ospiti di Cocquio

Una sfida organizzativa senza precedenti
Portare avanti un cantiere così importante senza spostare gli ospiti dalla struttura è una sfida complessa, ma necessaria. “Trasferirli avrebbe comportato disagi ancora maggiori,” sottolinea ancora la direttrice. “Così abbiamo scelto di rimanere qui, anche se questo ha richiesto un grande sforzo da parte di tutti.”

Ogni settimana, si svolgono infatti riunioni tra i responsabili di Sacra Famiglia e l’impresa appaltatrice Omeg, con l’intento di pianificare i lavori e a ridurne l’impatto sugli ospiti. Si presta grande attenzione a rumori, polveri e impalcature, elementi che potrebbero disturbare chi vive nella struttura, specialmente chi è più sensibile ai cambiamenti.

“L’impresa si è distinta per disponibilità e flessibilità”, osserva l’architetto Enrico Branca dell’Ufficio Tecnico di Sacra Famiglia. “Montare, smontare le impalcature e le aree di cantiere a sezioni, e mettere in atto accorgimenti tecnici non consueti per garantire la sicurezza delle persone in struttura, nonostante l’aumento di tempi e costi, è solo un esempio di questa collaborazione. Gli interventi vengono coordinati su più fronti contemporaneamente per rispettare i tempi, con la chiusura del cantiere prevista per dicembre 2025”.

Guardare al futuro
“Stiamo lavorando per creare la nuova casa di Cocquio, non una semplice struttura,” conclude Laura Puddu. “L’obiettivo è chiaro: offrire agli ospiti un luogo dove sentirsi accolti, protetti e valorizzati, un nido sicuro che possa accompagnarli nel loro percorso di vita”.

Sacra Famiglia confida nella comprensione delle famiglie e di tutta la comunità per affrontare i disagi inevitabili di questa trasformazione. Alla fine dei lavori, la sede di Cocquio sarà un luogo dove le persone con disabilità potranno vivere con serenità e dignità, in un ambiente che metta al centro i loro bisogni e il loro benessere.

 

READ MORE
News

Accolgo la vita che ho

Accolgo la vita che ho

Il fratello Franco lo definisce «speciale». E lui lo è davvero: nato con la sindrome di Prader-Willy, ha sempre voluto vivere al massimo. Tra lavoro, amici, musica, tanta autoironia e un irresistibile sorriso

Paolo, «60 anni compiuti il 3 gennaio, al santa Teresina dal 16 feb­braio 2022», come ci dice lui stesso con un’espressione sorniona e un sorriso che non lo abbandona mai. Accanto a lui c’è il fratello Franco («È d’oro», dice di lui Paolo). Il loro rap­porto è strettissimo.

La sua “malattia” quando era piccolo non aveva un nome, ma oggi ce l’ha: è la Sindrome di Prader Willi, i cui effetti hanno portato il nostro Paolo per cinque volte in rianimazione, dopo un infarto e diversi episodi di insuffi­cienza renale e respiratoria.

 

IL CIBO, GIOIA E PROBLEMA

Lavorava, Paolo, come archivista, alla Fiocchi Munizioni. Una vita rego­lare fatta di ufficio, casa e tanti hobby (musica, nuoto e libri), ma anche determinata da una delle principali caratteristiche della Sindrome: la fame insa­ziabile. Paolo ci ride su. «Sono capace di svuotare un frigo in un’ora. Da problema oggettivo che mina la sua salute e condiziona alcune scelte di vita, l’impossibi­lità di saziarsi diventa anche, negli anni, un elemento che rende Paolo «un personaggio», come lo definisce Franco. Impossibile non notare, a Lecco, quel signore con il viso tondo e l’espressione compiaciuta.

NON RASSEGNAZIONE, MA SAGGEZZA

Paolo nelle varie vicissitudini della sua vita mantiene quello che per Franco è «un comportamento che insegna tanto, a chiunque». È speciale».  Paolo accetta la sua condizione, comprende di non poter fare tutto, e non pretende. Acco­glie. A volte sopporta, altre volte si rassegna – come quando il sogno di entrare in seminario si infrange davanti a un rifiuto per motivi di salute.

Speciale, Paolo, lo è davvero anche qui, all’Unità Santa Teresina di Sacra Fami­glia. Nonostante le difficoltà motorie, non sta mai fermo: «Faccio musicoterapia, pit­tura, ceramica, pet visiting con un labrador, catechesi, compostaggio, ginnastica APA, il gruppo-parola con la psicologa», snocciola non senza un certo orgoglio.

Qui ha trovato davvero una seconda casa. «Quando sono arrivato in Sacra Famiglia ho capito che era il posto giusto per lui», ricorda Franco. «L’ambiente è sereno, le persone aperte, accoglienti e disponibili. E poi mi è bastato vederlo contento. Questo ci ha solle­vato, perché avevamo tanti scrupoli… invece ho la sen­sazione che si trovi meglio qui che a casa mia». Paolo regala l’ennesimo sor­riso e annuisce convinto.

READ MORE
News

La storia di Sebastiano

La gioia della rinascita.

Sebastiano un anno fa è stato accolto nella sede di Cocquio Trevisago di Sacra Famiglia a seguito di un aneurisma, che gli ha provocato una tetraparesi.

Per Sebastiano era impossibile parlare ed emettere suoni.

Dopo 2 anni di silenzio la vita di Sebastiano è cambiata

Alcuni giorni fa, esattamente due anni dopo l’evento traumatico, grazie ad un percorso individualizzato durato più di un anno con la logopedista e gli specialisti di Fondazione, Sebastiano ha iniziato a pronunciare la parola “ciao” scandendo ogni lettera, fino a pronunciare le prime parole e frasi di senso compiuto.

Sebastiano stava parlando, piangendo e ridendo contemporaneamente, emozionandosi nel poter risentire la sua voce dopo 2 anni!

Questa incredibile evoluzione fa riflettere sull’importanza del lavoro svolto dall’Equipe multidisciplinare di Fondazione Sacra Famiglie e sulla possibilità di recupero anche degli ospiti più gravi.

Esiste una strada che può condurci a inaspettati traguardi e tu puoi farne parte!

Sostieni Sebastiano e Fondazione Sacra Famiglia ora!

READ MORE
News

La storia di Nansy, Il futuro mi aspetta

Il futuro mi aspetta: Nansy, 15 anni di entusiasmo per la vita

Ambientarsi in Sacra Famiglia non è stato facile, ma grazie al paziente lavoro degli operatori, Nansy ha tirato fuori il suo carattere solare e positivo. E fa passi da gigante!

8 marzo 2022. Rimane in piedi vicino all’angolo della porta. Numerose proposte. Lei rifiuta. Rifiuta la cena. Le si porta una sedia, accetta. Toglie la mascherina. Accetta un succo ma lo mette in tasca. Non vuole andare in bagno. Assaggia un pezzetto di torta. Rifiuta il pigiama. Parla in arabo. In italiano dice: no, mamma. 9 marzo 2022. Rimane seduta. Torna a chiedere della mamma. Va a prendere i vestiti, li mette nello zaino, mette la giacca e piange. Chiama la mamma. Si convoca la mamma.

Questa sequenza è tratta dal diario delle educatrici dell’Unità S. Maria Bambina, e fotografa con sintetiche pennellate i primi due giorni di permanenza in struttura di Nansy, poco più di un anno fa.

IL DROP OUT

Mamma casalinga, papà pizzaiolo, i primi anni Nansy li trascorre in Egitto, in campagna, insieme ai nonni e ad altri parenti. Nel suo Paese, il debutto a scuola non è dei migliori – frequenta un giorno e poi, spaventata, corre a casa e non ne vuole più sapere – e anche se, quando arriva in Italia, si tenta di inserirla in classe, l’arrivo del Covid complica tutto. Nansy non frequenta, e nessuno la cerca. Passa le giornate davanti alla tv, ribelle ai tentativi della mamma di darle qualche occupazione casalinga, con l’unica “consolazione” di grandi quantità di cibo. Una situazione pesante sia per lei che per la famiglia.

ALLEGRA, MA SELETTIVA

Macchina del tempo, un salto in avanti a marzo 2023. È Nansy che gioca sorridente a Memory con le educatrici Rita Invernizzi, 52 anni, e Chiara Sangalli, 55, i suoi due punti di riferimento al S. Maria Bambina (Servizio Residenziale Terapeutico Riabilitativo a media intensità per minori), che la guardano orgogliose e commosse. «Sì, se pensiamo a quei primi giorni sembra quasi impossibile», dice Chiara, «anche se non si tratta di un miracolo ma di un lavoro costante che abbiamo svolto noi operatori, cercando il contatto con la famiglia».

«Gradualmente ha accettato di mangiare, poi di svolgere delle attività con noi», ricorda Rita. «E anche se ormai il nostro rapporto è consolidato, con gli altri è selettiva, fa fatica a entrare in relazione con chi non conosce. Ha un primo approccio oppositivo perché ha paura, deve conoscere e capire. Ma se sente che può fidarsi, poi ti dà l’anima». 

TUTTO LE INTERESSA

Non è stato facile. A partire dalla lingua, perché Nansy parlava e capiva solo l’arabo; adesso comprende bene l’italiano e cerca di parlarlo. «È comunicativa e sveglia», conferma Chiara, «si fa capire con lo sguardo e i gesti, è intuitiva, capisce le intenzioni. Il suo tallone d’Achille è l’attenzione: si distrae, ha una grossa fatica attentiva. Non per pigrizia, anzi, dato che ogni cosa le interessa, è curiosa, ma anche dispersiva». Per questo, l’équipe del S. Maria Bambina fa un gran lavoro di “strutturazione della giornata” per farle sapere quali attività la attendono, e hanno predisposto un calendario della settimana con la comunicazione aumentativa, perché tutto sia sotto controllo. «Il nostro lavoro mira a darle il più possibile una vita normale», spiega Rita, «a farle gustare le piccole cose, la camera, i vestiti, la compagnia, le uscite, sperando che un domani possa trovare il posto giusto per lei».

IL TRAGUARDO DEL LABORATORIO

Quanto alla famiglia, dopo le prime difficoltà nel trovare un’intesa, oggi è parte attiva nel percorso di Nansy, dato che uno degli obiettivi di Sacra Famiglia è lavorare in sinergia con tutto il mondo dell’ospite, rafforzando e coinvolgendo familiari e amici e, magari, creando reti sul territorio. È il caso della collaborazione avviata con l’associazione La Taska, che ha permesso a Nansy e all’amica Yirong di frequentare un laboratorio con dei coetanei. «Vogliamo puntare su attività che possa fare da sola, con una supervisione ma non troppo», conclude Chiara con un sorriso che comunica ottimismo. «Il percorso sarà lungo, ma è giovane: ce la farà». 

READ MORE
5x1000 sacra famigliaNews

5×1000 – 5 buoni motivi

5 BUONI MOTIVI per stare con noi con il tuo 5×1000

Continuità, assistenza, innovazione, accoglienza e qualità della vita: ecco come Sacra Famiglia accompagna le persone fragili.
Anche tu puoi aiutarci, con la tua firma.

Con la dichiarazione dei redditi torna la possibilità di effettuare una scelta importante: a chi destinare il 5×1000 delle tasse dovute allo Stato, firmando nell’apposito riquadro, il primo in alto a sinistra, e scrivendo il codice fiscale di Fondazione: 03034530158.

Sacra Famiglia ha aderito a questa possibilità fin dal suo inizio, nel 2006, perché crede che questo strumento sia una forma che consente davvero a tutti, anche a chi non avrebbe altre possibilità di farlo, di fornire sostegno alle nostre attività. Non si tratta infatti di denaro in più da versare, ma di una parte della tassazione dovuta allo Stato.

Perché scrivere proprio il codice 03034530158 nello spazio previsto?

Per 5 buoni motivi:

1. Garanzia di continuità: dal 1896 Sacra Famiglia c’è sempre stata, nonostante alcuni eventi storici critici che spesso colpiscono proprio i più fragili;

2. Assistenza rivolta a tutti: anche a gravi e gravissimi, con una presa in carico che parte dai servizi ambulatoriali e domiciliari, per arrivare – se necessario – a un’accoglienza nelle strutture residenziali;

3. Servizi innovativi: siamo al passo con le esigenze emergenti nella comunità, grazie al desiderio di sperimentazione che nasce da un’esperienza concreta di oltre 100 anni vissuti a fianco di persone disabili e anziane;

4. Accoglienza alla persona: ci rivolgiamo a ciascuno come persona, e non solo al suo bisogno sanitario, seppur prioritario in alcune circostanze, seguendo anche la famiglia nelle scelte più appropriate;

5. Qualità della vita: nonostante la pandemia e la guerra, con i costi che comportano e che pesano sui bilanci familiari e delle realtà sociosanitarie come la nostra, abbiamo continuato a pensare alla qualità di vita di ogni ospite a noi affidato.

READ MORE
News

Mio figlio? È più grande di me

Mio figlio? È più grande di me

Giancarlo Chiapparoli diventa tutore di Luigi Brusa, ospite abbandonato da bambino, che lo chiama subito papà. Col tempo, la moglie di Giancarlo diventa la mamma, e i due figli piccoli adorano quel “fratellone” coi capelli grigi. “Non giudico i suoi genitori, ma non sanno cosa si sono persi”.

Questa storia comincia nel 1999. Giancarlo Chiapparoli, oggi 54 anni, da un decennio lavorava in Sacra Famiglia come informatico e, come tanti dipendenti, conosceva Luigi Brusa. Abbandonato da piccolo, nessuna notizia sulla famiglia di origine, Luigi fa parte degli ospiti “storici” di Sacra Famiglia. Si conoscevano, dunque, ma niente di più, finché Giancarlo partecipa, con la mamma Giuseppina, a un pellegrinaggio in aereo a Lourdes. Su quell’aereo c’è anche il Brusa. «Abbiamo approfondito la conoscenza» ricorda Giancarlo, «e Gigio si legò in modo particolare a mia mamma, oltre che a me».

Da lì, sembra quasi che una mano invisibile inizi a tirare i fili che uniranno sempre di più le strade dei due nuovi amici: a Giancarlo viene proposto di frequentare un corso di formazione per tutori legali, lui accetta, poco dopo un’assistente sociale lo contatta e gli dice: «L’ospite da assegnarti ce l’ho io». Gigio Brusa. «Gli spiegammo cosa significasse “tutore”, e lui lo capì subito. Da allora iniziò a chiamarmi tutore-papà, poi solo papà, mentre mia mamma era già diventata la sua mamma».

Passano gli anni, Giancarlo cambia lavoro, ma padre e figlio si frequentano sempre assiduamente. Passano insieme molti momenti liberi, qualche vacanza, finché un giorno Giancarlo nota per strada una bella ragazza bionda che si ricordava di aver conosciuto qualche anno prima. Si frequentano, e quasi subito Giancarlo le confessa di essere «un ragazzo padre». «Lì per lì non sapevo cosa pensare», dice oggi Clelia, sua moglie da 12 anni, «poi mi ha spiegato tutto e io ho capito. Gigio l’ho accettato subito, o meglio lui ha accettato me: appena mi ha visto mi ha chiamato mamma». Una promozione sul campo. D’altra parte lei, per amore e anche per formazione (è sempre stata impegnata nel volontariato), accoglie davvero quel “figlio” così inaspettato aprendogli le porte del cuore e della casa. Una sera a settimana il Brusa cena con loro, condividono gite e gioie, fino all’avvenimento più importante per qualsiasi figlio: diventare un “fratello maggiore”.

Dieci anni fa nasce Michele e poi Lorenzo, che con Gigio ha un rapporto particolare, di preferenza immediata e strettissima. Sono tre fratelli, fanno le foto con Clelia per la festa della mamma, ne parlano a scuola, coinvolgono i compagni, mostrano come sia possibile allargare la misura dell’amore in modo spontaneo, senza pregiudizi né barriere.

«È il mio primo figlio a tutti gli effetti», ribadisce Giancarlo. «È una paternità sicuramente particolare, non possiamo passare le giornate insieme perché lui vive in Sacra Famiglia e ha una sua realtà fatta di un certo ambiente, amicizie e attività. Però i momenti che passiamo insieme sono dello stesso tipo di quelli che trascorro con i miei bambini». Vacanze comprese. Se tutto andrà bene, quest’anno tutta la famiglia andrà in crociera.

Il mio pensiero va comunque a loro, ai suoi genitori naturali ci confida Giancarlo. “Non so perché l’avete abbandonato, e non mi interessa. Ma non sapete cosa vi siete persi”.

READ MORE
News

Autismo: CLIC, Finalmente adesso parlo io

Autismo: clic, Finalmente adesso parlo io

Ricky, dal silenzio all’espressione artistica.

Apprezzato fotografo, è il docente del primo corso di fotografia dedicato agli utenti dei nostri Centri Diurni per l’autismo: “Lucio Moderato sarebbe orgoglioso di me. Qui mi sento a casa”.

Da sotto un tavolo a sopra una cattedra (da docente): è questo il percorso straordinario compiuto da Riccardo Pravettoni, «per gli amici Ricky», 25 anni e una forma di autismo che lui stesso definisce «grave». Per lui, che da piccolo non parlava e si nascondeva sotto i tavoli al comparire di qualsiasi estraneo, diventare docente del primo corso di fotografia del Centro di Formazione di Sacra Famiglia rivolto a giovani autistici che frequentano i CDD di Sacra Famiglia è stato un traguardo più che importante: decisamente inaspettato, almeno fino a qualche anno fa. È lo stesso Ricky, oggi fotografo free lance con una decina di mostre all’attivo e già fotoreporter ufficiale della Federazione Italiana Golf (sport di cui è appassionato) che racconta di sé e della passione per la fotografia che gli ha permesso di scoprirsi e, soprattutto, di svelarsi al mondo.

Come è nata in te la passione per la fotografia?

La passione per la fotografia è nata perché da piccolo non parlavo, non riuscivo a emettere proprio nessun suono, e comunicavo tramite le immagini. Quando però mia mamma mi ha fatto vedere per la prima volta una macchina fotografica e ho imparato a usarla, lì ho finalmente capito in che modo sarei stato in grado di parlare con il mondo.

Ricordi la tua prima foto?

Sì, me la ricordo. La prima foto che sono riuscito a fare bene è stata a Trieste, in gita con i miei compagni di classe. È da lì che è partito tutto… alle superiori, dopo aver scontato all’inizio le difficoltà di tanti ragazzi disabili, grazie all’aiuto dei miei educatori e insegnanti di sostegno sono riuscito a scoprire qual era la mia strada e ho deciso di iscrivermi all’Istituto Italiano di Fotografia. Dopo due anni sono diventato a tutti gli effetti un free lance, oltre che un testimonial dell’autismo.

E da pochi mesi sei anche docente. Che tipo di esperienza è stata quella dell’insegnamento?

Prima che iniziassi, i miei genitori mi hanno dato qualche consiglio, ma il primo giorno, appena ho visto i ragazzi, ho avvertito subito un forte feeling. A ogni lezione riuscivo a intendermi con loro e a illustrare come funziona l’arte della fotografia, tanto che sono riuscito a spiegare tutto, come funziona la macchina e come usarla.

Come hai conosciuto Sacra Famiglia?

Ho conosciuto Sacra Famiglia quando è arrivato nella mia vita Lucio (Moderato, già Direttore dei Servizi Innovativi per l’autismo di Sacra Famiglia). Con gli anni, il nostro rapporto è diventato quello tra un mentore e un allievo, tanto che mano a mano che crescevo ho capito che lui mi avrebbe aiutato a trovare la mia strada, il mio posto nel mondo. Avrei desiderato che facessimo tutto insieme, e anche se questo non è più possibile, sono contento perché avevo giurato che l’avrei reso fiero di me, e credo di averlo fatto. Grazie a lui ho conosciuto il mondo di Sacra Famiglia e il suo impegno per aiutare i ragazzi a uscire dall’autismo e a farsi accettare. Qui mi sento come in una seconda casa.

READ MORE
News

Storie di donne

Oggi vi raccontiamo la storia di due donne ospiti della CPA (Comunità Protetta ad Alta assistenza) di Sacra Famiglia.

“Ho scelto il pallone perché c’è dentro tutta la mia famiglia, soprattutto mio padre, i miei fratelli e mia nonna. È rotondo, grande come il mondo, come il bene che voglio a tutti. Ed è un ricordo di quando giocavo a basket da piccola, mentre qui in Sacra Famiglia gioco a calcio. Mia mamma se n’è andata di casa quando ero bambina, io a 6 anni ero già in comunità e poi ho girato tanti posti. Non sempre mi sono trovata bene, e ho combinato un po’ di disastri, anche perché spesso mi arrabbio. Sono in Sacra famiglia da anni, quindi presto per me si aprirà un nuovo percorso; questo un po’ mi spaventa. Il mio sogno sarebbe tornare dalla mia famiglia, ma se non si può fare, cercherò di accettare quello che è possibile. Anche se non è facile”, ci racconta Michela.

“Mi piacciono tantissimo questi fiori perché me li ha regalati mio papà un giorno che eravamo usciti insieme. Mio papà lavora come giardiniere all’ospedale San Raffaele, dove una volta c’erano anche tanti animali in una specie di zoo. lo ci andavo da piccola e mi sentivo felice. Poi sono stata molto male, due anni fa mi hanno ricoverato in ospedale, ma non ci voglio più tornare. Vedevo tutto nero, avevo attacchi di panico, fumavo tutto il giorno, non mi piaceva stare così. In questo periodo sto bene, sto migliorando e voglio andare avanti. Il mio sogno è vivere in un appartamento protetto, in modo da organizzarmi e andare a trovare mio papà. Lui vorrebbe comprarmi un appartamento tutto mio, ma non mi sento pronta. E vorrei avere degli amici”, ci dice Chiara.

Nelle storie di Michela e Chiara emerge il desiderio di stare bene, essere accolte, trovare la serenità… stare bene.

Grazie per la testimonianza! 

Scopri l’articolo completo: io non sono solo dolore

READ MORE
News

Mamme, siete fantastiche!

Mamme, siete fantastiche!

Quante volte vorremmo dire alla nostra mamma che non potremmo fare a meno di lei? Lo pensiamo, ma forse non lo diciamo spesso.

Dire: «Grazie mamma» è giusto, ma a volte basta guardarsi in silenzio negli occhi. Come fanno Cono e mamma Anna Maria.

Anna Maria è una mamma speciale, una mamma che ogni 3-4 settimane parte da Policastro (provincia di Salerno) per trascorre del tempo con Cono.

Dopo tanti dolori e delusioni, e malgrado i pregiudizi della gente sempre pronta a giudicare, ha accettato la gravissima disabilità del figlio.

Cono, ospite del Santa Rita, ha trovato persone con “un cuore grande” che, con professionalità e spontaneità, si prendono cura di lui e anche di Anna Maria, facendole superare quei gradini che, a volte, sono sembrati insormontabili.

Per Anna Maria, Cono è unico, ha una dolcezza fuori dal comune, una forza incredibile!

«È lui che mi ha insegnato a sorridere, è lui che tiene per mano me, è lui che sa spiegarmi che siamo solo noi “normali” a vedere la disabilità. È un ragazzo felice e la sua felicità è l’ossigeno della mia vita»».

Sacrifici e soddisfazioni, gioia e disperazione, pianti e sorrisi: qualunque sia l’esperienza di ogni mamma, l’unico denominatore è l’amore per i figli.

E allora diciamoglielo: «Mamme, siete fantastiche!»

 

Educatore: Rocco Mastrolonardo

READ MORE
News

Due anelli: la storia di Tatiana

Oggi vi raccontiamo la storia di Tatiana, ospite della CPA (Comunità Protetta ad Alta assistenza) di Sacra Famiglia.

In questa storia emergono le emozioni e il passato di una donna che desidera stare bene, essere accolta, dire la sua, trovare la serenità… in una parola, essere felice!

“Questi anelli rappresentano le persone più care che ho, racconta Tatiana. Uno me l’ha regalato il mio ragazzo, Michele, che vive anche lui in Sacra Famiglia. L’altro me l’hanno regalato i miei genitori, mio figlio e mia nonna. Sono in questa Comunità da due anni, prima ero in ospedale ma non mi piaceva; qui ho trovato delle amiche come Michela e Chiara con cui sto bene. La cosa che mi fa più soffrire è che gli altri possano pensare che ho qualcosa che non va: quando esco mi sento gli occhi di tutti addosso e non è una bella sensazione. Mi fa sentire sbagliata. Il mio sogno sarebbe di fare la moglie, cosa che non sono riuscita a fare perché sono sempre stata figlia, anche quando ero sposata, perché vivevo in casa con i miei. Vorrei riprovarci.”

Grazie Tatiana per la testimonianza! Ti auguriamo davvero il meglio <3

Scopri l’articolo completo: io non sono solo dolore

READ MORE
Privacy Policy
The figurehead of the incredible 18K White gold or platinum Cartier Rêves signifiant Pantheres Look-alike Watch trip, the panther, over time, offers went from one movement to another, sometimes skeletonised, sometimes rotaing, providing rise an innovative repertoire that the most up-to-date Rêves p Pantheres enjoy belongs. The brand new Cartier Rêves p Pantheres watch introduced at the SIHH 2015 is equipped having a Forty two mm 18K white gold or platinum case established with brilliant-cut gemstones, the beaded top set which rolex replica has a brilliant-cut precious stone, sword-shaped fingers inside blued metal and a call throughout 18 karat white gold arranged along with brilliant-cut diamonds. Fully pave-set together with gemstones, this heavenly enjoy is an ode to be able to Cartier's symbolic canine. For the Rêves delaware Pantheres view, his or her silhouettes spotted using dark-colored lacquer indicate the actual timeless visual with their charming trace.